Nicola Gratteri, procuratore capo di Napoli, ha il dono del parlar chiaro. Alcune sue battute lasciano il segno. Così come l’ultima, a proposito dei test psico-attitudinali per i magistrati: «Io sono pronto a sottopormi a qualsiasi test. Ma facciamoli a tutti, anche a chi governa. E mettiamoci anche alcol e droga».
Procuratore, scandalizzato per i test? «Sicuramente sorpreso. Sia per il merito del provvedimento, di cui non riesco a cogliere il senso, che per le modalità, essendo inserito nell’articolato attuativo della riforma Cartabia che non lo prevedeva affatto. Quindi doppiamente incostituzionale».
Anche lei vede un implicito attacco ai giudici italiani? «Si va a innestare nel quadro complessivo di riforme che a partire dalla legge Cartabia tendono a vedere con sfiducia l’operato dei magistrati: dalla riduzione significativa dei rapporti con gli organi di stampa, alla riforma delle intercettazioni, passando per la separazione delle carriere. La sensazione è che i problemi della giustizia, di cui non nego l’esistenza, vengano addebitati ai magistrati, come se non esistesse la carenza di uomini e mezzi, e una legislazione inadeguata e inutilmente macchinosa».
Citando la nota intervista di Silvio Berlusconi: siete tutti matti a voler vestire la toga? «Assolutamente no! Questa professione richiede senso di responsabilità, sacrifici, rinunce e anche rischi. Se questo significa essere matto, sono orgoglioso di esserlo».
Lei ha già rilanciato: allora testiamo tutti. «Se si devono introdurre i test, lo si faccia oltre che per i magistrati, anche per i medici che devono curare le persone, per i tecnici pubblici o incaricati dalle stazioni appaltanti per valutare complessi progetti ingegneristici (tipo il ponte di Messina) e, perché no, per chi ricopre cariche pubbliche, dovendo assumere scelte strategiche per la comunità».
Arriva il nuovo fascicolo del magistrato. La preoccupa? «Assolutamente sì. Perché la cd pagella del magistrato si fonda su un presupposto sbagliato: l’esito processuale delle cause. Sbagliato perché si basa anche e soprattutto su fattori che esulano dalla bravura del magistrato sottoposto a valutazione. Ma poi nel fascicolo si inseriscono non solo i provvedimenti (sentenze, ordinanze cautelari), ma tutti gli atti indistintamente. Ma chi pensa a queste riforme, sa quante migliaia di atti scrive un magistrato durante l’anno? Che senso ha inserire la convocazione di un testimone a un processo? E chi se li legge tutti questi atti? Ma veramente vogliamo essere seri? Così si devono valutare i magistrati?».
Nel complesso il governo mostra di avere un disegno coerente della giustizia? «L’effetto di queste riforme è un sostanziale peggioramento dell’efficienza del sistema giustizia. Veda: in Italia ci sono troppe cause, defatiganti procedure e pochi magistrati. Nessuno di questi problemi lo si vuole affrontare seriamente. Anzi si agisce esattamente all’opposto. A complicare il quadro, vi è la recente introduzione dell’applicativo per informatizzare il fascicolo penale – messo a disposizione dal ministero - che anziché velocizzare i processi, sta rallentando a dismisura il lavoro. Se prima per stampare e firmare un atto bastavano pochi secondi, adesso per firmare digitalmente lo stesso atto occorrono 10 minuti».
Quanto inciderà l’impossibilità di usare le intercettazioni in fascicoli diversi da quelli per cui sono state autorizzate? «Inciderà parecchio, incrementando la giustizia di classe. Se un soggetto intercettato per altra ragione confida al suo interlocutore di avere rubato un pezzo di formaggio del valore di 20 euro questa conversazione costituisce piena prova. Se rivela di essersi fatto corrompere con una mazzetta di 200.000 euro sotto forma di consulenza, no».
Abolendo il reato di abuso di ufficio, che succederà? E’ possibile che gli esposti dei cittadini troveranno risposta in indagini per ipotesi di reato ancor più gravi? «Mi pare difficile che con la contestazione del delitto di corruzione si possa colmare l’abrogazione dell’abuso di ufficio. Quindi mi pare poco praticabile questa possibilità da lei paventata. Rimarranno irragionevolmente impunite determinate ipotesi, quale il pubblico ufficiale che favorisce illecitamente un familiare».
Ed è in avvicinamento la separazione delle carriere. Che ne pensa? «Il mio pensiero è chiaro e lo ribadisco. Le carriere unificate arricchiscono professionalmente i magistrati, salvaguardando la cultura della giurisdizione, che significa, in parole povere, che il Pm ragiona come un giudice, avendo autonomia decisionale e rispondendo, nell’esercizio delle sue funzioni, a un solo superiore gerarchico: la legge».